Questo articolo nasce dalla necessità di raccogliere ulteriori elementi di riflessione sul tema dell’umanesimo tecnologico .
Questi elementi sono legati agli articoli pubblicati da Umberto Galimberti sul settimanale “Donna” del giornale Repubblica e che sono nati da una mia mail inviata il 4/5/2018 ed a cui Galimberti diede risposta il 19/5/2018.
Lettera a Galimberti del 4 maggio 2018
Lei afferma (in Donna n.1079) che
In fondo, la domanda da porsi non è se Dio esista o meno ma se questa idea è riuscita a produrre la Storia, nel senso che ha inciso e trasformato profondamente la realtà (Nietzsche) .
Questo anche tralasciando e ignorando guerre, massacri e soppressione di qualsiasi libertà di pensiero perché anche questo è, in gran parte, la Storia.
Il dilemma, lei afferma, è dunque solo se “Dio fa ancora storia o se la storia ormai si muove come se Dio non ci fosse” ed in questo contesto (nichilismo) la mancanza di senso, che invece la fede in Dio garantiva, “le ragioni per vivere faticano a trovare un perché, un senso, una giustificazione “.
Per giustapposizione se il mondo fosse costruito secondo criteri di razionalità, di giustizia e di bellezza, l’uomo non avrebbe bisogno di auto-illudersi per sopravvivere, costruendo metafisiche, religioni e morali quindi ogni costruzione metafisica vien meno davanti alla scoperta che il mondo è un caos irrazionale. (Nietzsche)
Ed io le chiedo :
Ma siamo sicuri che il caos sia un elemento negativo dell’esistenza e che invece la razionalità debba essere il dominus principale del nostro agire quotidiano?
Non voglio con questo assolutamente rivalutare il ruolo oppressivo e intollerante del pensiero religioso che, banalmente, nasce da una comprensibile angoscia della morte e dai suoi prodromi di malattia e miseria, ma guardo con altrettanta angoscia al progetto di una società basata su razionalità, giustizia e bellezza .
Ma chi dovrebbe scrivere questo nuovo catechismo ?
Ovviamente un pensiero pragmatico può rispondere a questa domanda provocatoria esaltando il ruolo fondamentale di una società democratica in cui il ruolo della scienza e della tecnologia si accollino in maniera sempre più credibile il ruolo di speranza e promessa per le malattie ,la miseria e l’incremento progressivo della vita media senza bislacche promesse di vita eterna e resurrezioni della carne.
Ma questa promessa si articola in piccoli passi fatti di gioie e delusioni per cui le angosce dell’uomo restano intatte e,in alcuni casi, riemergono in maniera virulenta sia in paesi arretrati ma anche nei paesi occidentali dove le crisi economiche riaccendono esponenzialmente ,attraverso i social network, un universo di odio ed irrazionalità.
Tutto questo odio si rivolge contro la scienza come pensiero critico ma si avvale potentemente della tecnologia come veicolo di comunicazione e quindi di socializzazione.
La tecnologia funziona ma la scienza che ne è la premessa logica non viene adeguatamente accettata anche perché l’universo educativo non riesce a assumere su di di sé adeguatamente questo compito che diventa ogni giorno più difficile se si pensa alla velocità con cui la biologia e la fisica macinano risultati dirompenti che pongono ,questi si, domande filosofiche essenziali che affondano la loro consistenza su risultati verificabili.
Ed allora questa diventa la questione filosofica fondamentale ovvero :”Quale senso è possibile al di fuori delle “rivelazioni” della scienza ?
Ma quale scienza ?
La scienza non è però un costrutto mentale neutro per cui al di là della verificabilita come criterio di verità esiste il problema etico fondamentale di scegliere ,
in definitiva : a chi giova questa scelta ?.
Ma la scelta spetta alla politica e quindi a noi che siamo bombardati dalle fake news e dalle prospettive di vita sana e bella.
È possibile uscire ,almeno in parte , da questo circolo furioso senza invocare il nichilismo?
È possibile un Umanesimo tecnologico come io auspico ?
Aspetto una sua risposta.
Grazie
Risposta di Galimberti del 19 maggio 2018
Convengo con lei che Dio garantisce all’esistenza e alla storia un senso è una giustificazione perché, nella concezione religiosa, il tempo, lungi dall’essere un semplice trascorrere di giorni, è iscritto in un disegno di salvezza dove alla fine si realizza ciò che all’inizio era stato promesso.
Questo sguardo ottimistico è tuttora rintracciabile nella scienza che guarda al futuro come progresso, nella sociologia che, quando vi riesce, cerca di immaginare e promuovere un miglioramento delle condizioni umane, nella medicina che, nel desertificarsi della fede nella salvezza, si impegna senza sosta a promuovere almeno la salute.
Ma in questo progressivo affermarsi della razionalità della scienza e della tecnica che caratterizzano il nostro tempo, lei avanza l’ipotesi che forse, per trovare un senso, non abbiamo più bisogno di costruzioni metafisiche o religiose. E però si domanda
:”Chi dovrebbe scrivere questo nuovo catechismo in cui si progetta una società basata su razionalità giustizia e bellezza?”
Lei auspica un “Umanesimo tecnologico” capace di sostituire alla “rivelazione divina” le “rivelazioni della scienza”, perché, a suo dire, nessun senso è possibile al di fuori di queste rivelazioni.
Ma la scienza pone anche dei problemi etici. In questo caso, lei dice, deve intervenire la politica per decidere quali risultati raggiunti della scienza possono essere accolti e quali respinti.
Ora lei sa meglio di me che la politica, al pari della morale, è del tutto impotente di fronte alla tecnica a cui le scoperte scientifiche approdano, perché come è possibile impedire alla tecnica che di fare ciò che può?
Morale e politica dovrebbero disporre di un potere più potente della potenza della tecnica. Ma questa condizione non si dà, per cui a regolare il mondo sarà la tecnica senza particolari impedimenti.
Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela la verità, la tecnica “funziona”, e siccome il suo funzionamento diventa planetario, nessuno può sottrarsi al suo dettato.
Lei ad esempio, può benissimo non avere un telefonino o un computer, ma se non li ha, non è semplicemente privo di due strumenti tecnici, ma subisce un esclusione sociale se l’informazione e la comunicazione passano quasi interamente attraverso questi strumenti.
Come vede la tecnica agisce anche fuori dal suo ambito, modificando il nostro modo non solo di comunicare, ma di vivere e di pensare. La tecnica, infine, è regolata da una logica stringente che consiste nel raggiungere il massimo degli scopi con l’impiego minimo dei mezzi. Questo è il principio fondante la sua razionalità, per cui se dico all’amata “Ti amo” ogni parola in più, dal punto di vista della razionalità tecnica, è inutile, sovrabbondante, e al limite irrazionale. Ma l’uomo è anche irrazionalità, non solo quando ama, ma anche quando soffre, quando sogna, quando immagina, quando progetta.
E se la razionalità della tecnica diventa l’unica dominante, l’uomo viene messo ai margini della storia, per cui come non convenire con Gunther Anders la dove scrive :” La domanda non è più cosa possiamo fare noi con la tecnica ma cosa la tecnica può fare di noi “.